Trattamento

Il tumore benigno più frequente è il fibroadenoma. Generalmente compare tra i 25 ed i 30 anni e si presenta come un nodulo isolato, duro al tatto, mobile sotto la pelle e di solito indolore. Nel caso in cui il fibroadenoma fosse associato a dolore o ad altri sintomi, oppure se le sue dimensioni dovessero superare i 3 cm, è consigliabile la sua asportazione. Questa avviene mediante un intervento in anestesia locale, che non necessita di degenza, attraverso un piccolo taglio eseguito generalmente in sede periareolare.

Un altro tipo di lesione benigna è rappresentata dalle cisti, ossia delle piccole sacche, piene o prive di liquido, che si formano con frequenza nel tessuto mammario. Come per i fibroadenomi, anche le cisti sono costituite da cellule che si limitano a crescere nella loro sede d’origine senza, quindi, diffondersi in altri organi. Per questa ragione è opportuno sottoporsi ad esami regolari al fine di tenerli sotto controllo e comunque, una volta asportati, non danno più problemi.

Le microcalcificazioni sono il risultato di piccoli depositi minerali (sali di calcio) e possono essere benigne, sospette o maligne. Spesso sono la spia di una iniziale lesione tumorale, generalmente risolvibile con un intervento chirurgico di lieve entità. Per questa ragione è importante effettuare la mammografia, che permette di analizzare la morfologia, la dimensione, il numero e la distribuzione delle microcalcificazioni.

L’esame mammografico deve essere seguito da una biopsia effettuata in anestesia locale e sotto guida stereotassica (Mammotome), che prevede una piccola incisione nella parte indicata. Questa tecnica permette di prelevare diversi campioni di tessuti da sottoporre ad esame istologico al fine di stabilire se la lesione è di natura benigna o maligna.

Il carcinoma mammario viene trattato, nei casi in cui è possibile, con una chirurgia conservativa, chiamata quadrantectomia. Questa tecnica prevede l’asportazione del solo tessuto mammario che circoscrive la lesione neoplastica e viene seguita da radioterapia, in modo da proteggere la ghiandola mammaria restante dal rischio di recidive o di nuove neoplasie.

Come altri tumori, anche quello del seno si diffonde attraverso il circolo linfatico, dando luogo a metastasi. Per questa ragione durante l’intervento è possibile asportare i linfonodi ascellari. È innanzitutto necessario individuare il linfonodo sentinella, ossia il primo linfonodo che riceve il drenaggio linfatico del tumore primitivo. A questo scopo viene iniettata una sostanza marcatrice nell’area che circoscrive il tumore e, grazie a tecniche di imaging (diagnostica per immagini), è possibile seguire il percorso del tracciante che porta al cosiddetto linfonodo sentinella. Questo viene sottoposto all’esame istologico intraoperatorio, che consente di poter sapere se il linfonodo è privo di cellule tumorali, in modo da procedere all’asportazione del solo linfonodo. L’intervento dura dai 20 ai 40 minuti e viene eseguito in anestesia locale, per cui la paziente può essere dimessa già entro 3 ore dall’intervento.
Nel caso in cui, a seguito dell’esame istologico, il linfonodo risultasse già infiltrato da cellule tumorali, si procederà, invece, all’asportazione di tutti i linfonodi ascellari.

Nel carcinoma mammario allo stadio I e II, generalmente si esegue un intervento di quadrantectomia, associato a radioterapia. Talvolta risulta necessario effettuare una mastectomia parziale, sempre seguita da radioterapia, che prevede l’asportazione di più di un quadrante del seno.

Le forme di cancro ad uno stadio più avanzato vengono trattate con un intervento chiamato mastectomia radicale modificata, che prevede l’asportazione totale della ghiandola mammaria, del linfonodo sentinella e di tutti i linfonodi del cavo ascellare.

Sia a seguito di una chirurgia conservativa che di una mastectomia, è possibile procedere alla ricostruzione del seno, ricostruzione che ad oggi viene considerata come parte integrante della cura del tumore alla mammella. Questa, quando è possibile, può essere effettuata già durante l’intervento di asportazione del tumore. La ricostruzione mammaria va studiata e valutata per ogni singolo caso. La normale procedura prevede la collocazione di un espansore (una sorta di palloncino) sotto il muscolo pettorale, che nell’arco delle settimane viene progressivamente gonfiato con una soluzione fisiologica. Questa procedura consente ai tessuti di distendersi, facilitando il successivo posizionamento della protesi. Le protesi mammarie sono le stesse usate negli interventi di mastoplastica additiva. In alternativa alle protesi è possibile anche utilizzare dei lembi di tessuto prelevati dalla schiena o dall’addome, o la tecnica del lipofilling. Quest’ultima consente anche di riempire eventuali avvallamenti creati a seguito di una quadrantectomia o di una mastectomia. Inoltre, oggigiorno si cerca, quando è possibile, di salvare il complesso areola-capezzolo.

La chirurgia plastica si divide in chirurgia estetica e chirurgia ricostruttiva. Queste differiscono sia per gli obiettivi sia per la diversa situazione di partenza. Anche nel caso di interventi di mastoplastica additiva, l’intervento va studiato e valutato singolarmente. Difatti, la scelta delle protesi, delle loro dimensioni e posizionamento dipendono dalle caratteristiche anatomiche e dalle aspettative della paziente stessa. Le protesi possono essere collocate nella regione completamente sottoghiandolare, completamente sottomuscolare o parzialmente sottomuscolare, come per la moderna tecnica “Dual Plane”. Dopo l’intervento è necessario che la paziente indossi un reggiseno contenitivo per almeno un mese. La normale attività lavorativa può essere ripresa dopo circa 10 giorni, mentre quella sportiva dopo circa un mese.

Possono essere effettuati anche interventi di mastopessi (lifting del seno con protesi o senza protesi) sia con tecniche tradizionali, che con quella “round block”, che prevede la sola incisione periareolare.

Prof. Paolo Barillari

Specialista in chirurgia generale / robotica